Poesie di viaggio, India
Poesie scritte in India
Ganga ki jay
Se fossi acqua
limpida e informe,
lo scorrere lento
di giocose parole
sussurrate alle morte foglie
nell’infecondo mio bacino,
incauto specchio del Cielo
scrutatore dei segreti
ciechi e insepolti,
immobile vagherei
insana nella quiete
muta nelle rapide
casta tra le mani
di ignoti pellegrini
nascosto riparo
per agili cormorani,
leggera vagherei
fin alla dolce consunzione
d’ogni mia sorda remora.
Illimitato orizzonte…
Illimitato orizzonte
fatua morgana
dalla bocca allargata
perpetuo declino
nel bianco volteggio
della piuma-fato
– banchetto di demoni-corvi
cupo stridore nell’intestino –
mentre mi disseto
dal mio sgozzato cranio
il sole si leva alto
senza le invisibili corde:
– non ho più paura – .
Bambini carnivori
da Shiva scorticati
alla madre terra
in mille mi afferrano
invano
– piccole fredde sporche nude mani –
nessun paese incantato
nelle loro iridi.
Carovane di colori
accecano il flusso
di linfa e pensieri,
l’io-in-ombra
sottile vaga
tra polvere e carne,
ancora mille rivoli
di sudore e vive perle
prima dell’incubo finale:
dall’oracolo sotterrato
dissolte parole.
India
Terra… Lenta terra
in spoglie vene;
tu che mi possiedi
e di forza e angoscia
mi nutri,
da divaricate voragini
mostri
il potere del ritorno.
Le dee mutilatrici
tagliano dal loro ventre
gli umani fili senza pietà.
È la terra che pulsa,
anima dei miei giorni
filtro dei ricordi
sudario dei figli senza volto
che ho ucciso
o lasciato morire.
Ma dalle lacrime
dei bambini invisibili
il chiaro di luna
ancora sorge,
dimora mia di vita:
dalle crepe della caverna-matrice
– vibra il dolore
mia residua coscienza –
flebile appare
l’ultima costellazione.
Benares
Accese, le sacre rive
si popolano dei calmi
invisibili demoni
– Appari ora
Reliquiario mio del nulla -.
Lo sciame di ignote
costellazioni scorre
lento e rosso s’infrange
tra gli occhi e i tuoni
di devote note sospese
su immemori flussi.
I violenti tintinnii
della puja richiamano
la discesa,
i puri ripidi ghat
verso l’acqua-in-cenere
sono il putrido alveare
di mille frementi nudi corpi.
Sale il fumo
dalle mute pire,
tra arrostiti piedi
e scricchiolii d’arti
spezzati, grigia
anche la mia carne arde;
l’inferno in terra
si spalanca:
giocano i morti
con placidi vivi.
Tra cielo e acqua
il velo solleva
l’Antico dei Giorni,
palpabile la fine
si mostra senza pietà.
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