IndiaINTO THE WILD

In viaggio da New Delhi a Kajuraho

Autobus per Kajuraho

Avventure da New Delhi a Kajuraho

Reduce dal viaggio in treno in Rajasthan decido di sfruttare i giorni liberi di Pasqua per raggiungere una meta alquanto gettonata nel Nord dell’India: Kajuraho, dove templi dedicati al dio Shiva rappresentano il Kamasutra con centinaia di dettagliate statue.

Parto col treno notturno per Mahoba, non essendoci ancora un collegamento diretto con la cittadina se non per via aerea (troppo costosa per le mie tasche). Giovane, donna e bianca su un vagone di seconda classe in India significa essere il centro dell’attenzione da parte di tutti. Ormai c’ho fatto il callo e cerco di concentrarmi su una lettura qualsiasi. Un tempo gli sguardi della gente mi innervosivano parecchio; alla fine del terzo mese ho iniziato a capire che dietro c’era qualcosa come un controllo della mia salute e incolumità; così in qualche modo ho iniziato a sentirmi protetta dalla loro indiscrezione.

All’alba mi preparo a scendere, chiedendo continuamente se ho raggiunto la destinazione; preoccupata di sbagliare fermata. Esco dalla stazione e mi ritrovo circondata da una folla urlante di tassisti di rickshaw: “Dove deve andare Mam?”

“Alla stazione degli autobus.”

“Ma oggi c’è sciopero, non ci sono autobus per Kajuraho!”

Incredula chiamo il mio amico indiano Manoj: “Ehy, ho un problema. Sono qui fuori dalla stazione e gli autisti mi dicono che c’è sciopero; se prendo un taxi da qui mi viene a costare carissimo!”

Perfettamente calmo, Manoj mi risponde: “Non crederli, fatti portare in stazione e vedi che succede.”

Seguo il suo consiglio e m’impunto con un ragazzo per farmi portarmi alla stazione degli autobus: “Vedi? Guarda che folla!”

Io scendo e pago, restando di sasso davanti  al casino di gente urlante attorno agli autobus. La fila allo sportello è una calca di indiani inferociti. Non demordo e faccio un giro attorno ai vari autobus fermi, presi d’assalto da famiglie stracolme di bagagli.

Il mio sguardo incontra all’improvviso quello di una ragazza occidentale; non perdo tempo e subito le chiedo se è diretta a Kajuraho.

“Si, questo è l’ultimo autobus della giornata!” mi conferma assieme ad altre due ragazze. Scopro che davvero c’è sciopero, ma che sono riuscita ad arrivare in tempo. Mi metto in fila con le ragazze con cui inizio a chiaccherare: sono tutte tedesche e in viaggio nel paese.

Sull’autobus per Kajuraho

Essere bianca è un privilegio in India. Non so se la mentalità indiana sia legata all’ospitalità o ancora a un retaggio coloniale; tuttavia ho sempre diritto a un posto a sedere ovunque io vada. Mi riparo sulla panca di legno che costituisce il sedile, posto assicuratomi dal gentile autista cui pago il biglietto.

Poco dopo una giovane indiana di qualche tribù del posto si siede accanto; enormi anelli bianchi le pendono da entrambi i padiglioni auricolari alti, la testa è coperta da un velo blu e fucsia; mi guarda e inizia a parlare. Faccio un cenno che non capisco e strattonandomi mi fa capire che vuole il mio posto. Scuoto la testa e mi volto avanti. Per fortuna va a sedersi da un’altra parte.

L’autobus si riempie; molta gente viaggia in piedi, soprattutto ragazzi; mentre le madri con più figli passano i bimbi rimasti senza posto in braccio a sconosciuti. Dopo circa un’ora di trattative sui posti e bagagli partiamo; il sole è alto e l’afa di inizio aprile si fa sentire.

La campagna indiana è costellata da alberi secolari folti e rigogliosi; ogni tanto passiamo attraverso polverosi villaggi pieni di bambini e donne sgargianti; file di baracche costituite da lamine arrugginite sono la sede dei negozi rurali: indaffarati barbieri radono all’aperto clienti dal mento imbiancato, sarti seduti al bordo della strada cuciono colorate vesti, distratti dal latrare dei cani e dalle corse dei bimbi scalzi, uno “zio” degli alimentari scaccia le mosche con un fazzoletto inbevuto di uno strano unguento.

Dopo un paio di ore di viaggio, l’autobus si ferma in un polveroso piazzale gremito di altri mezzi e folla che si appresta a salire a bordo. Ragazzi smunti salgono sulla cima del nostro bus e iniziano a  buttare con cieca furia i bagagli a terra.

Chiedo a una delle ragazze tedesche: “Siamo a Kajuraho?”

“No,” mi risponde con calma “siamo in un paese vicino. Dobbiamo aspettare un altro bus più piccolo. Abbiamo chiesto all’autista e ci ha detto di aspettare qui.”

Essere nel mezzo del nulla, in piena campagna indiana e avere vicino tre ragazze occidentali che sembrano avere il pieno controllo della situazione mi tranquillizza alla grande; così aspetto in piedi accanto a loro osservando il feroce e lesto “tiro a segno” dei bagagli e il passaggio della gente.

L’India è davvero un sub-continente; non solo per la sua ampiezza, ma anche per la diversità delle razze presente nel territorio. Mi guardo attorno e noto la distinta differenza di colore della pelle che va da tonalità più chiare a tinte bruno olivastre.

Anche i vestiti tradizionali variano sensibilmente da una regione all’altra, soprattutto nell’abbigliamento femminile; se in Rajasthan il classico sari dalle forti tinte aveva la meglio, in questo angolo del Madhya Pradesh, le donne usano più tinte uniche e numerose sono le tribù. Alcune famiglie portano vistosi orecchini al naso collegati da una collana all’orecchio, altre portano ampie gonne colme di lustrini e fasce; tutte hanno rigorosamente la testa coperta da un colorato velo ed emano un fascino antico.

Ultima avventura verso la meta finale

Finalmente arriva il nostro mezzo:  un pick-up allungato e coperto con una decina di posti a sedere. Io e le tedesche ci sediamo comodamente sui sedili laterali posteriori. Il viaggio inizia, ma il pick up continua a fermarsi per caricare gente. Prendiamo i nostri bagagli in braccio per lasciare lo spazio centrale libero. Le fermate continuano e anche i passeggeri, tutti maschi; alcuni si siedono in braccio ad altri, uno si allunga sulle cosce degli uomini del sedile anteriore, altri restano in bilico sull’orlo delle porte aperte tenendosi al tetto del mezzo. Solo noi quattro non abbiamo “ospiti” sulle cosce e ci scambiamo occhiate tra il divertito e l’incredulo.

Il viaggio per fortuna è breve; siamo le ultime a scendere e finalmente vediamo il profilo dei templi all’orizzonte. “Kajuraho” sospiro sollevata alla fine del viaggio più folle di tutta l’India.

Per informazioni sui templi di Kajuraho, clicca qui.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *