Avventure di viaggio tra Kajuraho a Orccha
Ultima sera a Kajuraho, incontro speciale
Ultima sera a Kajuraho: mi concedo una cena al ristorante assieme alle ragazze tedesche all’interno di un bellissimo patio circondato da una rigogliosa buganville viola. La serena atmosfera viene interrotta da qualcuno che chiama il mio nome: “Erica!”
Mi volto e riconosco uno degli studenti del Centro italiano di Cultura. “Tu? Cosa fai qui?” chiedo incredula.
“Vivo qui” mi risponde timidamente.
“Cosa? Vuoi dire che due volte alla settimana ti fai tutto questo viaggio, dieci ore solo di andata, per venire a lezione?” chiedo allibita.
Lo studente, di cui ho scordato il nome, annuisce con un sorriso che mostra tutti i suoi brillanti denti e mi fa cenno di aspettare, scomparendo dietro ai tavoli. Torna dieci minuti più tardi accompagnato da un signore di circa trentacinque anni, alto e spigliato. “Buona sera Erica” mi sorride lisciandosi i baffi.
“Buonasera” gli rispondo incuriosita.
“Sono Raj, mi riconosci?” mi chiede sicuro di sé con perfetto italiano.
“No” gli rispondo aggrottando le sopracciglia, “ci siamo già incontrati?”
“Lavoro in televisione!” mi risponde deluso.
“Scusami, ma non guardo la TV qui in India” gli rispondo.
“Ma non in India! Lavoro per la RAI! Faccio documentari per i vostri canali!” mi risponde come riprendendomi per la mia ignoranza.
“Scusami Raj, ma guardo poco la TV anche in Italia!” rispondo con tono condiscendente.
Il suo volto sembra distendersi e mi chiede cosa faccio domani, giorno che per me corrisponde alla partenza.
“Bene, allora ti offro la colazione!” mi invita.
“Ma parto alle 8. 00 di mattina, dovremmo incontrarci prestissimo!” contravvengo.
“Possiamo vederci qui alle 7.15, poi ti accopagno alla stazione degli autobus” continua insistente.
Con nessuna voglia di dovermi alzare più presto solo per incontrarmi con uno sconosciuto e lo studente, sono costretta ad arrendermi di fronte a tanta insistenza; così il giorno dopo mi presento puntuale allo stesso ristorante della sera prima e incontro la coppia già seduta al tavolo mentre beve chai.
Vuoi scoprire Orccha?
“Buongiorno Erica, cosa vuoi mangiare?” mi chiede raggianate Raj.
Ordino qualcosa di leggero e passo il tempo a raccontargli cosa faccio qui e le mie impressioni sull’India. Raj mi sugggerisce di prendere il bus più tardi, ma conveniamo che rischio di perdere la coincidenza con il treno di ritorno per New Delhi.
“Allora fermati a Orccha!” mi raccomanda.
“Orccha? Ho letto qualcosa, ma non rischio di fare tardi?” chiedo.
“No, hai tutto il tempo di fare una passeggiata in città; ci sono fortezze medioevali stupende!” continua.
Invogliata a continuare la mia esplorazione di questa regione dell’India; accetto il consiglio e Raj, da vero gentiluomo, mi accompagna in stazione e prende accordi con l’autista per farmi scendere sulla strada diretta a questo antico centro regionale.
L’autobus non è così affollato come lo era quello dell’andata, riesco quindi a sedermi “comodamente” su una delle panchine di legno, a fianco di una giovane e sorridente indiana che non sembra vedere l’ora di parlare con me. Saluto Raj e il minuto studente dal finestrino, mentre l’arrugginito veicolo si accende singhiozzando.
Con un perfetto inglese la ragazzina seduta accanto a me cerca di attaccare bottone, io le rispondo a monosillabe, svogliata; la lascio delusa e un po’ arrabbiata; ma preferisco perdere la vista nei campi ancora umidi che si distendono nella vallata, dove enormi alberi secolari svettano solitari, maestosi e in qualche modo malinconici.
Dopo un paio dì ore sento l’autista sbraitare qualcosa con dentro la parola “Italia”. La ragazzina seduta accanto a me mi guarda e dice in tono severo che devo scendere. Presa di soprassalto, raduno i miei modesti bagagli e mi avvicino alla porta. Mi guardo attorno, ma non c’è l’ombra di città alcuna. “Sei sicura che devo scendere qui?” le chiedo dubbiosa.
“Certo!” mi cantona per poi girarsi. Fidandomi alla cieca, scendo per ritrovarmi completamente sola ai margini di una strada deserta; tutto intorno non ci sono altro che campi appena arati. L’autobus riparte lentamente; vorrei quasi quasi urlare di fermarsi per risalire ma resisto alla tentazione.
Aspetto per alcuni lunghi secondi pensando alle varie possibilità: aspettare che passi qualcuno mi sembra l’unica ragionevole prospettiva. Sento il rombo di un motore, scorgo un nero rickshaw che si ferma proprio accanto a me.
“Orccha?” mi chiede il ragazzo al volante. Annuisco e felice come una pasqua mi butto sul sedile di pelle posteriore senza neanche contrattare il prezzo. L’ autista prende una strada laterale e nel giro di cinque minuti avvisto finalmente la mia destinazione, capendo infine il perché il suo nome significhi “la città nascosta”.
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