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Varanasi, non solo Ghat

Nuovo Tempio Vishwanath

Cosa fare a Varanasi oltre al Gange. Visita ai parchi limitrofi

Varanasi non è solo la riva del Gange con i suoi Ghat. Un visitatore non può pensare di non visitare il suo centro storico, fatto di strette vie che si snodano dai ripidi gradini dei Ghat verso l’interno, rivelando antichi palazzi decadenti, con loggiati in stile mughal, stradine polverose o con la pavimentazione colma di buche spesso attraversate dai senza casta che trasportano aperte barelle con un defunto steso, ricoperto di  fiori arancioni.

Se si vuole riposare durante il solleone, è possibile farlo nei numerosi parchi che si trovano nelle zone limitrofe,  come ad Anand Park, vicino ad Asi Ghat,dove si trovano  piccoli mausolei in mezzo al verde e dove  è possibile rilassarsi insieme alla popolazione locale che viene qui a consumare il pranzo fuori dagli uffici o dove gli adolescenti si danno appuntamento per passeggiare.

 Mi diverto a osservare un cane randagio senza zampa che gioca con una scimmia anch’essa senza zampa. Anche un gruppo di ragazzi se la ride davanti al cane disteso a terra con la pancia all’aria mentre la scimmia un po’ gliela gratta e un po’ gli tira le zampe. Uno di loro offre una banana  alla fortunata.

Sarnath, luogo sacro di Buddha

Chi ha tempo, può recarsi a Sarnath, un sito storico situato una decina di chilometri a Nord Est di Varanasi, dove il Gange incontra il fiume Varuna. Questo sito è rinomato in quanto si crede che qui Il Buddha ha insegnato il Dharma e dove la sua incarnazione, Sangha, ha ricevuto l’illuminazione. Passeggiando in mezzo a giardini curati, si incontra il Dhamek Stupa, costruito intorno al 500 a. C. in epoca pre buddista. In questa torre di pietra a forma di campana, alta 44 metri e di 28 metri di diametro,venivano tumulate le ceneri  degli asceti cremati. Si dice che in questo punto il Buddha abbia insegnato i precetti per raggiunere l’illuminazione e il Nirvana.

Il sacro Tempio Kashi Vishwanath

Tornando in città, dal Burning Ghat Makarnika mi dirigo verso l’interno nel tardo pomeriggio. Sono disturbata da un ragazzo che mi chiede insistentemente di essere la mia guida. Di fronte al mio secco rifiuto, sbrocca: “Tu sei pazza! Sei proprio pazza!” e si allontana seccato. Dopo aver di nuovo osservato le pire crematorie, sono di nuovo in uno stato di grazia, cammino con estrema leggerezza e mi avvicino al posto di devozione più sacro per gli induisti, dove agli occidentali è proibito entrare: il Tempio Kashi Vishwanath, dove milioni di pellegrini all’anno vengono ad adorare Shiva nella speranza di terminare il loro samsara.

Eretto nel XI secolo, fu distrutto dai vari moghul islamici più volte, fino all’ultima costruzione risalente alla fine del XVIII secolo da parte della dinastia Maratha, grazie anche alle numerose donazioni di famiglie nobili, tra cui spicca quella di Ranjit Singh, marajà sikh, che donò la bellezza di una tonnellata d’oro.  Vishwanath è uno dei nomi che indicano Shiva, il cui lingam alto un metro  è conservato su un altare d’argento.

Mi fermo sotto un porticato, osservando un gruppo di poliziotti che ride mentre osserva i giochi beffardi di un paio di bertucce. Mi dico: “Vado più in là, fin dove posso.” Sono vestita con abiti tradizionali indiani e il mio capo è coperto da un lungo scialle secondo l’usanza del luogo. Oltrepasso una cancellata e sulla mia sinistra si profila un lungo portico colonnato, sotto al quale si riposano dei monaci semi vestiti. Sono tutte piccole cappelle votive dedite alle divinità. I monaci mi squadrano. Io continuo, uno di loro mi fa cenno di avvicinarmi; io, sfrontata, diniego e continuo a camminare finché ritrovo alla mia sinistra il tempio sacro in tutto il suo magnetico splendore.

La squadrata loggia centrale, affiancata da due torri in stile sikhara alte circa 15 metri, è sormontata da una cupola ricoperta in oro massiccio, così come le parti alte delle elaborate sikhara. Dalle porte delle torri e nel corpo centrale, una fila di devoti si snoda a catena per pregare le divinità costituite da statue colorate colme di ghirlande e dallo sguardo invasato.

Capisco di essere nel cuore dell’adorazione induista e, non sapendo che fare, mi metto in fila come tutti gli altri per passare accanto alle divinità. I locali pregano a mani giunte districandosi in mantra incomprensibili; cerco lentamente di passare la fila ma un sacerdote mi chiama a sé; quasta volta non posso evitarlo. Mi dice: “Prega con me!” Io unisco le mani e con occhi chiusi inizia una sequela di parole cantilenante, davanti alle statue di Shiva con la moglie Parvati.  Al termine mi chiede una mancia. Io gli porgo quello che trovo e mi chiede: “Sei felice?”. Gli rispondo cinicamente “No”; alché lui mi vuole restituire la banconota ma io sorridendogli rifiuto e finalmente mi allontano.

Alzo ancora una volta lo sguardo a quelle cupole che con il loro oro contrastano il blu del cielo; eppure avverto una gran pesantezza, come se anziché allungarsi verso il divino, esse coprissero invece ogni possibile ascesa. Una opprimente energia tetra si diffonde in ogni angolo del tempio. Ne esco sollevata.

Il Tempio rosso di Durga

Durga Temple

Se siete vicini ad Anand Park, un altro tempio da visitare, oltre al già citato Tempio in stile nepalese vicino a Lalita Ghat, è quello dedicato alla dea della forza, Durga. La sua particolarità risiede nell’utilizzo del colore rosso nella pittura delle sue pareti. Costruito nel  XVIII secolo, si dice che l’immagine rappresentativa della dea sia comparsa da sola.

Oltre al complesso sikhara frontale, si può ammirare la linea del tempio dalla piscina laterale artificiale, collegata un tempo al fiume Gange. Sarà la forza distruttiva della dea, ma la presenza di una moltitudine di randagi in pessime condizioni di salute di fronte alla indifferenza delle gente del posto mi tormenta e cerco altrove luoghi da scoprire.

I mercati centrali di Varanasi

Mercato al centro

Mi perdo nei caldi colori del mercato all’aperto in pieno centro, dove le merci sono tranquillamente stese su tele di iurta bucate a terra e simpatici ragazzi cercano di vendermi la loro invitante frutta, per nulla preoccupati da un vitello che cerca di portar via quel poco che hanno.

La calura non mi ferma, entro nei piccoli negozi di artigianato per acquistare qualche ricordo della città; il mercante mi offre del chai e mi costringe a sedermi, mostrandomi i tappeti murali classici del posto. “Cerco qualcosa di piccolo” chiedo e lui mi mostra splendidi copricuscini con intricati ricami a mano. Non posso non comprarli, ahimé!

Che sia YOGA, infine!

L’ultima cosa da fare a Varanasi  è frequentare una classe di Yoga. Trovo un ashram aperto agli occidentali proprio vicino a  Dashashwameddha Ghat.  La palestra è piccola, poco illuminata e pulita; sono presenti  solo due ragazzi probabilmente americani. Mi metto dietro a loro per la mia prima lezione assoluta di yoga.

Entra un uomo sulla quarantina, con folti capelli neri e lunga barba a baffi, vestito di bianco. Si siede in posizione di fiore di loto. Saluta e chiudedo gli occhi menziona le posizioni da fare in lingua originale. Io imito i ragazzi di fronte a me, che ben sanno cosa fare, a differenza mia!

Lo yogini continua la lezione senza aprire le palpebre, rimanendo perfettamente fermo per circa un’ ora. Io non faccio altro che imitare gli altri in totale silenzio. Al termine, i ragazzi lasciano i soldi al maestro quasi senza salutare ed escono velocemente. Un po’ intimorita,  saluto con garbo lo yogini che ricambia con un gran sorriso, lasciando quell’alone da serio mistico all’istante. Gli chiedo quanto devo per la lezione: 3 dollari circa.

Incuriosito, mi interroga su dove vengo e cosa faccio, parlandomi poi delle sue numerose visite in Italia ove è chiamato a insegnare in prestigiose scuole e dove viene pagato fior fior di soldi. Io che sono agli inizi non ne capisco molto, ma sono contenta di aver iniziato questa disciplina che pratico tuttora nel posto più sacro di tutta l’India.

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