Uzbekistan

L’Arco Cittadella, sito storico di Bukhara, Uzbekistan

L’Arco Cittadella, sito storico di Bukhara, Uzbekistan

Portale d'ingresso alla Cittadella
Portale d’ingresso alla Cittadella

Lungo le possenti  mura si trova a Ovest il più antico sito archeologico della città: l’Arco Cittadella, antica sede governativa. Gli edifici sono racchiusi in un rettangolo irregolare largo 3,96 ettari e leggermente allungato da Ovest verso Est, con l’angolo di Sud Est tagliato. Le mura dalla base più larga rispetto alla cima sono alte dalla piazza Registan dai 16 ai 20 metri.

Per entrare si passa da un portale a forma d’ogiva, le cui mura bianche che contrastano con le grigie mura terminano in due alte torri simili a minareti. Si attraversa un passaggio che porta tramite a una ripida salita alla terrazza dove si articolano vari edifici; durante il Medioevo questi avevano funzioni di Moschea, Palazzo reale, prigioni, bazar… Ora conservate e utilizzate come sale del Museo della Fortezza; si ritrovano infatti reperti dell’area di Bukhara conservati in sale archeologiche, etnografiche, numismatiche, d’arte decorativa, di storia naturale e di belle arti. Di pregio sono i testi sacri decorati da rimarchevoli miniature colorate e i tappeti centenari con scritte dal Corano.

Soffitto di uno dei saloni
Soffitto di uno dei saloni

Le antiche sale sono state recentemente restaurate; si possono ammirare pareti e soffitte finemente decorate con arte islamica e mosaici di specchi; colonne di legno con capitelli finemente intagliati in muqarnas colorate. Nell’antica Moschea è presente il Mirhab, la nicchia di preghiera, decorato con fasce turchine con scritture sacre. Tra le bianche viuzze che si snodano nel sito e venditori ambulanti di artigianato locale, si aprono una piazza che serviva da centro nevralgico commerciale della Cittadella e l’ampio porticato sotto il quale si trovava il trono del regnante, dove probabilmente riceveva udienza.

Storia della Cittadella

La storia del sito è lunga e tormentata e ovviamente ha la sua origine nella leggenda di Siyavash, fuggito qui dall’ira della matrigna dalla Persia, la quale aveva cercato invano di sedurlo. Costretto all’esilio nella regione di Turan, il giovane principe si era innamorato della figlia del re di Afrasiab, ricambiato nel sentimento. Il padre aveva messo come condizione per il matrimonio la costruzione di un palazzo che potesse stare sul dorso di un toro. Siyavash, grazie alla sua intelligenza, in un complicato gioco di linee tagliate dal perimetro del dorso, riesce a costruire il progetto del palazzo entro il cerchio richiesto. Questa è l’origine dell’Arco che, in accordo con gli scavi, risale al VI-III secolo a.C.

Panorama dall'alto della piazza
Panorama dall’alto della piazza

Si narra che le sue fondamenta sono costruite intorno a 7 pilastri che seguono la posizione delle stelle dell’Orsa maggiore. L’Arco è stato distrutto più volte e solo nel VII secolo d.C. ricostruito dal governatore Bidun. Nei secoli IX –X, la dinastia Samani rende le mura due volte più spesse e costruisce le torri. Gengis Khan nel XIII secolo riesce a espugnare e a distruggere, con i suoi abitanti, la Cittadella. Tamerlano, una volta alpotere, ordina la ricostruzione delle mura; le quali hanno subito durante i secoli numerosi danni a causa di terremoti e cattiva amministrazione, inclusa quella sovietica.

Dall’epoca moderna a oggi. Storie di terrore

Nel XV secolo, ancora una volta l’Arco viene ricostruito dalla dinastia dei Shaybanidi; che ripristinano il suo aspetto originale con l’aggiunta di un cancello orientale (Gurian) e occidentale (Registan). Molti filosofi, letterati e scienziati vivevano nella cittadella, tra i quali Ferdowsi, Rudaki, Al-Farabi. Grazie a essi si ha traccia della presenza di una fornita biblioteca menzionata da Avicenna; ma purtroppo scomparsa durante una delle invasioni.

Non sono leggende le storie che si narrano sulla crudeltà degli emiri che facevano cadere le proprie vittime in buchi colmi di vermi carnivori; il loro destino era terribile: essere mangiati poco alla volta da queste creature. Oltre a Marco Polo, che si fermò qui per tre mesi, altri italiani hanno soggiornato in questa città con non molta fortuna. Giovanni Orlandi di Parma era a servizio a metà dell’1800 di un russo che, non so per quali motivi, decide di venderlo come schiavo all’emiro di Bukhara. Il povero malcapitato riceve minacce di morte se non si converte all’islamismo. Egli si rifiuta e, per ingraziarsi l’emiro, gli costruisce un orologio enorme da mettere all’ingresso dell’Arco, tra i due alto torrioni.

L’emiro, felice della proposta, lo grazia. Orlando gli fabbrica anche un telescopio con cui poter osservare le stelle. Il destino vuole però che il telescopio si rompa e che l’emiro faccia chiamare d’urgenza l’Orlandi per ripararlo. Il parmese arriva alla corte ubriaco e di nuovo l’emiro, di pessimo umore, lo condanna a morte; a meno che si converta all’islamismo. Di nuovo Orlandi si rifiuta e l’emiro, per mostrargli che fa sul serio, gli fa tagliare la pelle da un orecchio all’altro; dandogli tempo fino all’alba per pensare. Il giorno dopo Giovanni Orlandi resta fermo dinanzi alla prova e viene decapitato nella piazza antistante l’Arco, corre l’anno 1851. Oggi l’orologio non c’è più, ma se si osservano antiche foto d’epoca si può trovarlo proprio lì, all’ingresso dell’Arco.

La storia dell’Orlandi è stata sicuramente ascoltata da commerciante di seta Modesto Gavazzi, catturato qui nel 1863 e minacciato di morte se non si convertiva anch’egli all’Islam. Gavazzi rifiuta e se la cava con 13 mesi di prigionia. Ben più infelice è la storia di due ufficiali inglesi che finirono qui due decenni prima. L’intera Asia era sotto il “Grande gioco”, ovvero spionaggio internazionale descritto bene nel bellissimo libro di Kipling, Kim. Nell’Asia centrale gli stranieri venivano considerati spie al servizio dell’Occidente; chiunque veniva catturato, difficilmente portava a casa la pelle.

Così l’ufficiale inglese si ritrova nel bucon nero pieno di vermi carnivori, solo per non essere sceso da cavallo una volta entrato a Bukhara, mentre l’altro per essere andato a cercarlo. Ormai scarnificati, vengono decapitati nel 1842 sotto l’ordine dell’emiro per festeggiare una sua vittoria su nemici locali. Per capire la sorte dei due inglese arriva, due anni dopo, un reverendo tedesco, Joseph Wolff, che grazie al suo portamento e astuzia riesce a portare la testa a casa con le notizie che Londra cerca.

Si presenta infatti con gli abiti canonici, un mitra in testa, la Bibbia nella mano destra, un bastone pastorale nella sinistra. Una volta di fronte all’emiro, invece di fare tre genuflessioni recitando “Allah Akbar” come richiesto, ne fa ben trenta ripetendo “Pace al grande Re”. L’emiro se ne compiace e lo lascia tornare in Europa.

Epoca moderna

La cittadella era un centro attivo e popolato, fino al 1920. Le truppe bolsceviche, durante la rivoluzione, assalgono e distruggono il sito, arrivando con quelli che vengono chiamati uccelli di ferro (la gente è la prima volta che vede aerei). A guidare l’impresa è il Kirghiso Michail Frunze, che espugna Bukhara il 2 settembre del 1920 e sconfigge l’ultimo emiro di Bukhara, Sayyid Alim-Khan.

Si pensava di averlo i pugno, ma l’emiro riesce a scappare nella fortezza di Hissar e, da lì, in Afghanistan; ordinando pure l’uccisione del padrone di casa che lo aveva accolto. Si dice che l’emiro riesce a portare in terra straniera la bellezza di 175 milioni di dollari tra gioielli, pietre e lingotti d’oro. Alim Khan muore in esilio a Kabul nel 1947.

Per ulteriori informazioni sul complesso di Poi Kalyan, clicca qui.

Indirizzo

Foto di Eva Zalesakova

Fonti: A.V.,  Bukhara, the city and the legends, Davr Nashriyoti, Tashkent, 2014

Tiziano Terzani, Buonanotte Signor Lenin, TEA, 1992, pp.289-295.  

www.centralasia-travel.com/en/countries/uzbekistan/places/bukhara/ark_fortress

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