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Il Festival dei Kukeri a Shiroka Laka

Il rigido inverno bulgaro è ormai agli sgoccioli, così la mia polacca compagna di EVS Boguslawa mi invita col suo ragazzo nuovo fiammante Rosen, un bulgaro ospitale e amante del kaval, per un weekend sui Rodopi, la catena montuosa che confina a Sud con la Grecia e la Turchia. L’occasione è quella di vedere dal vivo il festival che ha luogo ogni anno nel grazioso borgo di alta quota di Shiroka Laka, la tradizionale parata dei Kukeri.

Tramandata da millenni, i Kukeri (tradotto: “incapucciati”) hanno il compito di esorcizzare gli spiriti maligni e assicurare buoni raccolti nel tempo della semina, quando l’inverno sta per lasciare il posto alla primavera. L’usanza era già un rito ai tempi dei Traci, che la praticavano anche per celebrare il dio Dioniso, nato secondo il mito proprio in queste selvagge terre. La particolarità è insita nell’aspetto vario delle loro maschere: alcuni interamente vestiti con pellicce dal folto pelo, i kukeri portano maschere dal naso adunco e dal capo allungato in forma quadrangolare; al loro fianco grossi campanacci appesi tintinnano gravi a ogni passo.

Ogni regione presenta decorazione delle maschere differenti, di certo sono il colore e l’orrore ad avere la predominanza. Non è insolito scappare alla loro presenza, perché se provocati possono sferrare colpi di bastone a che gli capita sotto tiro; niente paura: porta bene!

Notte in bianco

Giungiamo al piccolo borgo in serata dopo una notte brava nella splendida città di Plovdid. Rosen chiede a uno del posto dove possiamo pernottare a scrocco pe la nottata e il signore dalle gote rosse e dai pochi denti gli indica la direzione verso i monti. Troviamo una minuscola baita al margine del bosco, vicino al torrente. La stanza è provvista di due panche, un tavolo e una stufa. Rosen e l’amico pittore Gelias unitosi a noi s’impegnano a procurare abbastanza legna per passar la nottata, mentre noi donne pensiamo alla cena improvvisata: carne fredda, pane, patate poi gettate tra le braci che risulteranno crude. Qui in Bulgaria si rispettano i ruoli gettati dalla tradizione patriarcale.

Siamo squattrinati, c’è poco da dire; ma serate come queste si ricordano per tutta la vita. La luce del giorno cade in calde sinfonie rosa, approfitto degli ultimi raggi per lavarmi le mani verso il torrente ma resto immobile: una coppia di cerbiatti mi ha preceduta e alla mia vista scappano veloci nel buio del fogliame.

Fuori c’è buio totale e all’interno solo il fuoco dall’aperto sportello della stufa illumina la nostra spartana cena; agli uomini basta un sorso di rakia per dare il via al concerto: Rosen al suo ipnotico kaval, Gelias alla chitarra. Io canto e tutti se ne fregano delle mie continue stonature e delle patate crude, finché birra e vino fatto in casa ci tengono compagnia. Mi addormento sulla larga panca del tavolo assieme a Boguslawa e Gelias. Sembra che Rosen sia l’unico a non aver bisogno di dormire; lo vedo rimuginare tra il suo bicchiere sempre pieno e il fuoco che mantiene, grazie al cielo, vivo.

La sfilata dei Kukeri a Shiroka Laka

Il risveglio non è il massimo del comfort, indolenzita e acciaccata dal torcicollo mi unisco al gruppo nella ricerca di un bar dove trovare un caffè possibilmente potente. Chi cambia stato di soggiorno deve fare i conti con la necessità di adattarsi ai costumi locali, che per me significa rinunciare al mio the nero mattutino che qui è introvabile.

Tra le bianche casette a due piani con parti di mura a legno e base di pietre tipiche della regione, si apre la piazza dove infervorano i preparativi della festa. Ci sediamo al tavolo in uno slargo rialzato antistante e da lì assistiamo all’evento. La gente del posto ha già iniziato a ballare il tradizionale horo, tenendosi per mano si muovono in un girotondo ritmato ai margini della piazza. Provo anch’io a seguire il ritmo; la gente mi accoglie ospitale e i passi sono facili da imparare.

A mezzogiorno inizia la vera e propria parata; accompagnati dalle zampogne tipiche dei Rodopi gonfiate anche da ragazzini in vestiti tradizionali, appaiono i primi kukeri: scaldamuscoli in pelo bianco, lunghe tuniche blu orlate in fondo da una fascia rossa, grosse campane ai fianchi e una maschera di pelo che ricopre completamente il volto. Al suono di tamburi, si accende un piccolo falò che i kukeri saltano a turno come rito di purificazione. Arrivano altri kukuri in un costume ricoperto interamente da lungo pelo e dall’allampanato capo che viene scosso ritmicamente al suono delle percussioni.

Altre maschere rappresentano diavoli cornuti o donne ricoperte da veli. Alle donne è preclusa la partecipazione al rito; sono infatti gli uomini a travestirsi come nel teatro elisabettiano. Uno di essi porta un manichino femminile davanti e mima l’atto sessuale. Un altro travestito da ragazza si getta improvvisamente a terra e mima le doglie di un parto, il kukero che lo assiste estrae dalla gonna un bambolotto in segno di parto avvenuto.

Chiude la parata la sfilata di kukeri vestiti in fasce rosse e azzurre che reggono ampie maschere ricoperte da piume di uccelli raffiguranti bestie e animali. Queste sono le simbologie simili al nostro rito carnevalesco: purificazione, fertilità, prosperità, dissacrazione.

Ricordo l’affinità con i nostri mammutones sardi e la presenza della stessa tradizione in altri paesi dell’Europa orientale, come l’Ungheria e la maggior parte dei paesi balcanici, che in questo periodo festeggiano il capodanno ortodosso.

 

Immagini concesse da Boguslawa Jasek.

Sul questo sito, trovi informazioni su dove poter partecipare al  Festival dei Kukeri in tutta la Bulgaria.

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