Il Carnevale di Schignano
L’agognata ora del Carnevale è arrivata! Sono stati ben due anni di quarantene, chiusure e “clausure”; quale lieto evento sembra questo essere con tutta la follia e leggerezza che porta! Trovo un articolo on line che parla di un insolito Carnevale festeggiato in un borgo sopra il Lago di Como nel comune di Schignano.
Decido di partecipare con mia figlia e alcuni amici con cui mi ritrovo negli stretti vicoli del borgo. Seguendo il rumore dei campanacci ecco apparire i personaggi tradizionali del posto: travestiti con maschere di legno dal lungo naso pinocchiesco i “Brut” saltellano di qua e di là vestiti con sacchi di iuta facendo tintinnare a più non posso i massicci campanacci legati alla vita, mentre i “Bei” dal capo ricoperto di fiori finti e dalle grosse pance velate da pizzi si pavoneggiano con ombrellini e ventagli tra la folla.
Maschere e significato del Carnevale di Schignano
I “Brut” rappresentano i poveri; vestiti male e dalle maschere spaventose, alcune con corna di animali, con i loro stracci o pelli sfiorano i visi e le scarpe della gente, altri spruzzano acqua; tutto per scacciare via gli spiriti maligni e propiziare fecondità per la primavera alle porte. Si fingono ubriachi o s’improvvisano saltimbanchi, veri e propri attori istrionici che divertono o spaventano (nel caso di mia figlia, terrorizzata a morte) i presenti. I “Bei” sono invece i ricchi, dal costume ricercato e inondato di fiori e pizzi; anche loro portano maschere di legno e campanacci, si limitano a posare arieggiando i presenti con i loro grossi e colorati ventagli, sempre in segno di buon auspicio.
Tra di loro si riconosce dal portamento più altezzoso il Mascarun, il signore più potente e anche il più panzuto: si sa che l’obesità era sinonimo di benessere. La moglie del Mascarun è la Ciocia, la sciura maltrattata dal marito, sporca di fuliggine, vestita di stracci e coi zoccoli. Ella o meglio dire Egli, visto che per tradizione la maschera è interpretata da un uomo, va in giro per il paese pulendo in terra e lamentandosi esclusivamente in dialetto stretto tra le risa generali. Si notano anche maschere vestite con la giacca verde da militare: sono la Sigurtà ovvero i rappresentanti della legge e dell’ordine, accompagnati dai Sapoeurs, figure di mercenari vestiti con pelli di pecora e dalla maschera con lunghi baffi neri.
Il clou della festa, mi spiega una signora del posto, è la resurrezione del Carnevale, impersonificato nel fantoccio, il Carlisep, cui si darà fuoco a mezzanotte. Per il rito della vivificazione, il fantoccio viene sostituito con un ragazzo scelto nel borgo tra i nuovi maggiorenni, appositamente travestito. Egli, prima immobile e trascinato come un peso morto nelle braccia dei compari, inizia improvvisamente a muoversi e a scappare venendo inseguito con foga da tutta la folla mascherata. Attraversa un paio di volte la piazza e i vicoli attigui del borgo, nel chiasso dei campanacci, urla e spari (a salvo, spero) da antiche rivoltelle. Il Carlisep viene quindi riacchiappato e legato per la sua sorte finale: il falò che segna la fine dei festeggiamenti e dello stesso Carnevale.
Atmosfera ed equivalenze
Schignano riesce a portare in piazza il Carnevale nella sua essenza popolare fatta di riti antichissimi, scherzi e partecipazione piena della gente che assiste. L’utilizzo dei campanacci e delle maschere di legno spaventose ricordano i riti e le tradizioni dei Mammutones in Sardegna e dei Kukeri bulgari, nonché in altre zone affine nell’Europa orientale. Viene da pensare che la celebrazione di Dioniso da parte dei Traci e i riti di iniziazione primaverile siano giunti fin qui anche prima dell’espansione dell’Impero Romano, fermo restando che la mia resta solo un’ipotesi.
Sicuramente vale la pena di partecipare all’evento, tenendo conto che una domenica di Carnevale viene dedicata ai bambini e la festa più rappresentativa si svolge tra l’ultima domenica e il martedì grasso quando il Carlisep viene arso. Bancarelle, tavole calde con vin brulè e salamelle non mancano, incluso il buon umore della gente del posto.