Kazakhstan

Tre anni in Asia centrale. Racconto di una insegnante viaggiatrice.

Tre anni in Asia centrale. Racconto di una insegnante viaggiatrice.

 

L'autrice con l'aquila allevata per cacciare
L’autrice con l’aquila allevata per cacciare

Ero una delle tante italiane a Londra in cerca di fortuna, quando una mia amica che insegna Italiano per stranieri all’Università di Genova mi scrive: “Vuoi insegnare all’Università Ablai Khan?” In quel momento sopravvivevo servendo pollo fritto in uno dei peggiori quartieri londinesi. “Insegnare Italiano in Università? Certo!” Rispondo senza neanche pensare. “Aspetta, Ablai Khan? Dov’è?” “Almaty, Kazakhstan.” “Wow, giusto dietro l’angolo!”

Tre mesi a New Delhi mi avevano già preparato a qualsiasi possibile shock culturale, quindi, dopo il benestare della mia famiglia e del mio compagno, abituati ai miei repentini colpi di testa; mi procuro a fatica il visto di lavoro e a metà ottobre 2013 sono nella ex capitale kazaka.

I paesi che hanno vissuto il dominio dell’Unione sovietica hanno qualcosa che li rende simili: l’architettura populista anonima e fatiscente; le grige statue di eroici soldati e lavoratori in dimensioni mastodontiche; gli autobus con il controllore fisso accanto all’autista; quel senso di un socialismo rarefatto che continua a osservare la vita della comunità. Almaty non faceva eccezione.

Uno sguardo tra passato e futuro

Tuttavia, con la caduta dell’URSS, il paese si era ritrovato negli anni ’90 ancor più povero e improvvisamente senza alcuna guida politica e sociale. In quella devastante anarchia, le istituzioni economiche occidentali avevano spadroneggiato creando imperi finanziari dal nulla, con il risultato di una forte globalizzazione che in pochi anni ha privato la città della sua già labile identità culturale.

Suonatore di dombra nella tradizionale yurta.
Suonatore di dombra nella tradizionale yurta.

Almaty è una città giovane: i pionieri dell’Asia, ovvero i cosacchi, l’hanno fondata a metà del XIX secolo a ridosso del confine mongolo. Nonostante facesse parte di una delle tratte marginali della Via della Seta, non restano testimonianze storiche evidenti; se non i siti archeologici nella regione (aree cimiteriali e petroglifi risalenti all’Età del Bronzo).

I kazaki sono chiamati popolo della steppa non per nulla; abituati a cambiare dimora per seguire l’allevamento nel ruotare delle stagioni con le loro yurte; la loro storia e cultura si trova nei racconti orali, nell’artigianato di tappeti e gioielli e nelle tradizioni che ancora sopravvivono stridendo con il desiderio di ricchezza e modernità delle nuove generazioni, volte sempre più all’Occidente.

Non sorprende quindi che accanto ai decadenti palazzoni sovietici si innalzino grattacieli di banche europee che ospitano alla base tutta la possibile varietà di catene di fast food; un numero maggiore rispetto all’Italia, e numerose Mall con tutte le brand di moda dove i giovani si ritrovano e passeggiano.

Tra modernità e tradizione

Dove permane allora lo spirito tradizionale kazako? Credo che il costume di una società si possa trovare nei due grandi riti di passaggio: il matrimonio e il funerale. Io ho partecipato a entrambi. Il luogo in cui tutto ruota in queste occasioni è la tavola: la sposa non arriva nella Moschea o nel Comune, ma nel ristorante; dove il cerimoniere l’attende per officiare al rito e legalizzare il tutto, assieme a non meno di 200 ospiti che aspettano impazienti vicino ai numerosi tavoli rotondi imbanditi di ogni bene.

Matrimonio kazako
Matrimonio kazako

Le donne non sono ammesse ai funerali del loro famigliari maschi, il loro dolore si consuma nelle case dove ricevono gli ospiti che portano tutti i giorni cibo e conforto. A 40 giorni esatti dalla morte, il defunto viene celebrato e ricordato in un pranzo con centinaia di persone ( a seconda della fama e della ricchezza del deceduto); sempre attorno ai tavoli imbanditi di un ristorante, dove anche l’Imam prega per l’anima delle persona scomparsa.

Un tavolo rotondo, dunque, come lo era quello centrale della yurta; dove le famiglie dei clan si riunivano per sfamarsi, celebrare, discutere di affari e politica. Ancora oggi, quando i kazaki si incontrano per la prima volta, chiedono sempre a quale clan appartengono per definire la loro identità storica e culturale. Ne esistono sette principali, come sette sono i nomi degli avi, padri dei padri, che le nuove generazioni devono ricordare.

Un paese che guarda avanti, così l’EXPO “Energia del futuro” 2017 ad Astana sottolinea; ma le cui tradizioni restano forti; come quella, purtroppo, di rapire giovani ragazze e portarle in famiglia per darle in moglie a chi ha messo l’occhio su di loro, ovviamente contro la loro volontà.

Prospettive religiose e politiche

Il passato nomadismo, dove il dio del cielo era chiamato Tengri, e la dominazione comunista hanno avuto come effetto quello di allontanare la mano del radicalismo islamico. Le donne qui si possono trovare a capo non solo di Istituti scolastici, ma anche di aziende e banche. Professano l’islamismo senza sentire la necessità di portare il velo; tuttavia, nei ceti medi e poveri, l’uomo è sempre percepito come il capofamiglia da onorare e rispettare. Diversa la situazione in altre etnie presenti; come tra i russi, dove il ruolo della donna è sempre più centrale e la libertà sessuale è maggiore.

La politica di laicismo dello stato e parità di genere è sostenuta dal governo, diretto fin dall’indipendenza del Kazakhstan nel 1991 dal presidente Nursultan Nazarbayev, che ancora oggi guida il paese attraverso un consenso schiacciante. Il clientelismo, da cui ne segue la forte corruzione oligarchica, la privazione e negazione dei diritti umanitari del suo governo non sono comunque stati sufficienti a farlo decadere, forse per il successo con il quale ha saputo far crescere l’economia kazaka e la sua capacità di tenere i piedi in due staffe sia con l’ingombrante vicino russo che con il potente governo statunitense.

È infatti riuscito a ottenere le simpatie dell’Occidente avviando una politica di denuclearizzazione, in uno stato devastato dagli esperimenti atomici russi durati per decenni. Ci si chiede, come sarà il futuro del paese vista ormai la veneranda età del Presidente e la sempre maggiore presa di coscienza sociale e umanitaria delle masse, comunque non influenzate dall’opposizione al governo.

Per ulteriori informazioni su Almaty, leggi qui.

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